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408 | I Vicerè |
tonomo! — Don Blasco parlava adesso come un trattato di giurisprudenza. — È una semplice eredità cum onere missarum: hai da spiegarmi il latino? O torniamo coi cavilli che facesti alla Badia per non pagare il legato?... Alle corte, qui bisogna intendersi: se no comincio con un dichiaratorio, e poi ce la vedremo in tribunale!
Il principe, vistosi scoperto, in un momento che la bile gli tornava a gola, esclamò:
— O Vostra Eccellenza non aveva vietato di toccare i beni della Chiesa?
— Evviva la bestia! — proruppe il monaco. — Qui la Chiesa che ha da vedere? Le messe si faranno celebrare come prima, anzi meglio di prima! Tu volevi forse intascare le rendite senz’altro?
Ma non ci fu tempo di approfondire la quistione e di concretar nulla, che una sera d’agosto, mentre a palazzo una folla d’invitati assisteva alla processione del carro di Sant’Agata, arrivò il duca giallo come un morto, annunziando:
— Il colera! il colera!... Un’altra volta!...
Quello buono, adesso; la dose giusta finalmente trovata dagli untori; perchè, Dio ne scampi, non erano passate ventiquattr’ore che già il morbo si dilatava. E che spavento per le vie di campagna, nuovamente percorse, giorno e notte, da torme di fuggiaschi; e che terrore, infinitamente più contagioso della peste, vinceva i più coraggiosi all’annunzio del rapido progredire del male, e li cacciava su, verso la montagna, nei paesi del Bosco, dove, con la consueta fiducia nell’immunità, l’affitto d’una casupola costava un occhio del capo!
Gli Uzeda erano arrivati al Belvedere poche ore dopo la notizia portata dal duca, e questi aveva preso posto nella prima carrozza, tanta tremarella aveva in corpo. La cugina Graziella era ancora una volta coi cugini: la sua presenza adesso diveniva tanto più necessaria quanto che la povera principessa andava peggio, e, o fosse