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402 I Vicerè

c’è più niente!... I soli muri!... Me n’hanno cacciato!... Me n’hanno cacciato!...

La principessa cercava di confortarlo, con belle parole; il principe gli offrì da bere; ma egli rifiutò, riprese a narrare le stesse storie imbrogliandosi più di prima; poi se ne andò alla villa del marchese, da don Blasco, ricominciando:

— Ce n’hanno cacciato!... E Vostra Paternità non fa nulla?.. Il Priore suo nipote?... Monsignor Vescovo?... Perchè non scrivono a Roma?... Ha da finir così?...

Don Blasco, al quale il giorno prima era arrivata la rendita, tonò:

— Come vuoi che finisca?... Quando io gridavo a quei ruffiani: «Badate ai fatti vostri? Non scherzate col fuoco! Ci rimetterete il pane!...» mi davano del pazzo, è vero? E si confortavano con gli aglietti, le bestie, dicendo che il governo non li avrebbe toccati, che avrebbe passato loro una lauta pensione, se mai!... E i tuoi compagni che facevano anch’essi i sanculotti, quel porco di Frà Cola che distribuiva bollettini ai novizii? Quell’altro collotorto di mio nipote che faceva salamelecchi a Bixio e a Garibaldi? Quell’asino con diciotto piedi dell’Abate che si grattava la tigna, e pareva un pulcino nella stoppa?... Adesso che volete? Se siete stati i vostri proprii nemici?... Il governo è ladro, e doveva fare il suo mestiere di ladro: che meraviglia? La colpa è di quelle testacce di cavolo che lo aiutarono, che gli proposero: «Venite a rubarmi!...» e gli aprirono anzi le porte!... Non mi dissero, una volta, che volevano godersi un po’ di libertà? Se la godano tutta, adesso!... Nessuno glie la contrasta!...

— E ce n’hanno cacciato!... Ce n’hanno cacciato!...


Quando gli Uzeda tornarono in città, al principio dell’anno nuovo, una lettera del duca a Benedetto annunziò che la Camera sarebbe stata sciolta fra poco. Egli non si dava questa volta neppur la pena di venire, incari-