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I Vicerè 37

Il principe di Roccasciano che aveva girato per la chiesa sballottato dalla folla, fu sospinto in mezzo al gruppo; tutta la sua persona così piccola e magra che pareva fatta in economia, esprimeva uno straordinario stupore:

― Signori miei, che funerale! che spesa!... Ci saranno per lo meno cent’onze di cera! E l’apparato! La messa cantata! Io vi so dire che per la felice memoria di mio padre spesi sessantotto onze e tredici tarì, e che feci? Niente!... Qui vi dico che si sono spese cent’onze di sole torce....

― Sst.... il Lux æterna.

Ad ogni passaggio della messa operavasi un rimescolamento nella folla: alcuni tentavano uscire, la più parte mutavan di posto, giravano intorno al catafalco, andavano a leggere le iscrizioni. Restava a don Cono da verificar l’ultima; don Casimiro gli si pose alle costole, seguito da parecchi della comitiva.


AHI DURA MORTE

IL PIANTO

D’UNA ILLUSTRE PROSAPIA

D’UN POPOLO INTERO

A DISARMARE IL TUO BRACCIO

NON VALSE.


― Benissimo! ― fece don Casimiro. ― La prosapia è illustre: discende difilato dall’anche d’Anchise. Il popolo piange: non vedete le lacrime? ― e mostrava quelle d’argento che frangiavano l’addobbo funebre. ― Piangono anche le ragazze dell’Orfanotrofio.... pensando che andranno a finir cameriere dell’illustre principe....

― Parmi sconvenga.... ― obbiettò don Cono.


― E v’accerto io che sono tutti disperati per questa morte, dal gran bene che si vogliono in casa. Poh! Non possono stare un giorno senza abbracciarsi e baciarsi...

― Parmi sconvenga....