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I Vicerè | 383 |
Teresa, adesso vicina ai dodici anni, formava il suo orgoglio, per la bellezza della persona e la bontà dell’animo. Mai un dispiacere da quella bambina; lo stesso principe, che a giorni pareva cercasse col lanternino i pretesti per andare in collera, non la coglieva mai in fallo. Bastava che le dicessero una volta: «Teresina, ciò dispiace a tuo padre,» oppure: «Tuo padre vuole così», perchè ella chinasse il capo senza fiatare. Per l’obbedienza esemplare, per la dolcezza del cuore, ella raccoglieva dovunque lodi e premii. Cresciuta negli anni, non la mettevano più nella ruota per farla passare tra le monache, a San Placido, ma la conducevano spesso al parlatorio della Badia. Ella che aveva frenato, piccolina, la paura di restar chiusa nello spessore del muro, e il terrore del crocifisso nero, preferiva anche ora, in cuor suo, le belle passeggiate all’aria aperta; ma poichè ai parenti faceva piacere che andasse dalla zia monaca, ella stessa sollecitava quelle visite dietro le grate. Ella passava per prove ancora più forti. La vigilia dei Defunti, tutti gli anni, la famiglia recavasi nelle catacombe dei Cappuccini, a visitare gli avanzi della principessa Teresa, per ordine del principe, il quale da canto suo restava in casa per paura che la vista dei morti gli portasse jettatura. La bambina tremava da capo a piedi. Che spavento, tutti quei morti pendenti dalle pareti, chiusi nelle casse, vestiti come in vita, con le scarpe ai piedi e i guanti alle mani; certuni con la bocca contorta come se urlassero dallo spasimo, altri che ridevano d’un riso sgangherato; la nonna, tutta nera in viso, nella bara di vetro, vestita da monaca, con la testa sopra una tegola e le mani aggrappate disperatamente a un crocifisso d’avorio!... Tremava tutta, la bambina, dallo spavento, dall’orrore, e la notte sognava tutti quei morti che le danzavano intorno; ma nascondeva il proprio spavento poichè il confessore le aveva detto che i poveri morti non possono far male, che è dovere visitarli, che bisogna continuamente pensare ad essi perché un giorno anche noi