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368 | I Vicerè |
tato devotamente da quanti gli stavano a fianco, aspettato da tutta una corte intenta a tessere e a ritessere le sue lodi quando, per un piccolo bisogno imperioso, egli s’accostava a un cantone. Al palazzo, lo stesso andirivieni d’un tempo: elettori, sollecitatori, delegazioni di società politiche che tornavano a ringraziarlo a voce, dopo averlo ringraziato per iscritto, del bene che aveva fatto al paese ed ai concittadini: grazie a lui, la prima ferrovia a cui s’era messo mano in Sicilia era quella da Catania a Messina, e il porto aveva numerosi approdi di piroscafi, e la città era stata dotata di numerose scuole, d’una ispezione forestale, d’un deposito di stalloni; e un istituto di credito, la Banca Meridionale, stava per sorgere; e il governo prometteva d’intraprendere una quantità d’opere pubbliche, di aiutare il municipio e la provincia; e i buoni liberali, i figli della rivoluzione, ottenevano a poco a poco quel che chiedevano: un posto, un sussidio, una croce.
La sua popolarità toccava l’apice. Alcuni, è vero, gli rimproveravano l’assenza durante i fatti del ’62, addebitandola alla paura, e tiravano in ballo le storie del Quarantotto, lo accusavano d’essersi finalmente rammentato del collegio adesso che, sciolta la Camera, voleva gli riconfermassero il mandato; ma questi mormoratori erano gli eterni malcontenti, i pochi repubblicani, qualche garibaldino sfegatato, tutta gente che non poteva perdonare al duca la sua ascrizione al partito di destra. Nelle conversazioni politiche egli difendeva infatti a spada tratta la politica moderata, «ora che abbiamo fatto la rivoluzione e raggiunto lo scopo;» e celebrava l’azione prudente del governo, deplorava le intemperanze di Garibaldi, biasimava l’agitazione contro la Convenzione di settembre, affermava che la lega dei buoni era necessaria per salvar la nazione dai nemici esterni ed interni. Più che nei primi tempi della deputazione, faceva colpo mentovando i suoi grandi amici politici: «Quando andai da Minghetti.... Rattazzi mi disse.... In casa del ministro....» Però non citava più il barone Palmi; se