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I Vicerè 361

enorme, proponendo, se mai, di affidare questa missione al duca che era intimo del senatore. Ma sì! il duca aveva altro pel capo! Se ne stava a Torino, badando ai suoi affari, non voleva tornare in Sicilia per paura che la sua lontananza durante le agitazioni dell’anno precedente gli avesse fatto torto; e quando gli scrivevano dell’affare di Raimondo rispondeva che per nulla al mondo voleva mescolarvisi. Giulente, dunque, per contentar la moglie, il cognato e gli zii, aveva dovuto rassegnarsi a rivolgersi lui al barone. «Sapete quanto tempo ha impiegato a scrivere la lettera?» aggiungeva la cugina, informata di tutti i più piccoli particolari. «Una settimana! Ha stracciato una risma di carta! Sfido io! Come dire a un cristiano: consentite che il matrimonio di vostra figlia si sciolga, che le vostre nipoti restino senza padre!...» Ma la lettera, piena d’espressioni riguardose, di complimenti, di scuse, era partita: e Giulente aspettava ancora la risposta!... L’avrebbe aspettata un pezzo! Chè per mezzo di certe persone di Messina, la cugina sapeva quel che aveva detto il barone a un amico, stringendo il pugno: «Voglio piuttosto veder morire tutti quanti!.....» Perchè infatti la «povera Matilde» moribonda dai tanti dispiaceri, indifferente a tutto oramai, comprendendo che non c’era più alcun riparo, avrebbe anche contentato l’ultima pretesa del marito! il barone, invece, faceva certi giuramenti tremendi per dire che mai, mai, lui vivente, suo genero sarebbe riuscito a rompere il matrimonio: sapeva bene che era spezzato di fatto, ma voleva che Raimondo restasse incatenato per tutta la vita, che la Fersa non potesse prendere, dinanzi al mondo, il posto della propria figliuola....

Anche Pasqualino sapeva tutto questo; ma al cocchiere di donna Graziella, che, tenendo per la padrona, gli prediceva il fiasco del conte: «Un po’ per volta!» rispondeva. «Lasciate che si finisca la prima causa!... Quando la padrona sarà libera, penseremo a liberare anche il padrone!... Adesso non hanno a decidere i canonici, ma