alla gola: altro che la storia della signorina Chiara! Almeno la principessa, sant’anima, avea cercato di prendere sua figlia con le buone, ricorrendo alle minaccie soltanto all’ultimo, dopo due anni di persuasioni e di preghiere; ma lo zio di donna Isabella? Bastonate mattina e sera, fin dal primo momento che la ragazza aveva detto: «Meglio morta che sposar Fersa!» Come Pasqualino, tutta la servitù, la minuta clientela della famiglia era, nonostante l’opposizione del principe, favorevole al contino; questi, per accaparrarsi simpatie, non faceva più venire, come un tempo, le sue robe da Firenze o da Napoli, ma dava ogni genere di commissioni in città, e il sarto, il calzolaio, il cravattaio, onorati dai comandi del contino Uzeda, lo portavano al cielo, peroravano in favor suo, tenevano fronte agli scandalizzati. V’era gente che rammentava l’amore di donna Isabella per Fersa? Rispondevano adducendo infinite testimonianze contrarie: da Palermo sarebbero venuti tutti i servi di casa Pinto, pronti a giurar sul Vangelo che l’orfanella era stata picchiata di santa ragione dallo zio tutore, perchè costui, senza badare che Fersa, se aveva quattrini, non nasceva bene, voleva darglielo per forza. Dicevano che queste testimonianze erano sospette, ottenute per via di quattrini? Enumeravano gli amici palermitani di casa Pinto, don Michele Broggi, il cavaliere Cutica, il notaio Rosa, tutti superiori al sospetto di corruzione, citati da donna Isabella perchè testimoniassero le sevizie usatele, i rifiuti costanti da lei opposti. Che più? Lo stesso zio sarebbe venuto a confermare la violenza esercitata!... «E poi?» esclamava da suo canto la cugina. «Dopo che avranno sciolto questo matrimonio? Credono di poter riuscire a sciogliere quell’altro? Non sanno che cosa ha detto Palmi?» E narrava che quell’accattabrighe di Giulente gli aveva scritto per ottenere che anche lui, il barone, consentisse allo scioglimento del matrimonio di sua figlia, testimoniando d’averla forzata a prendersi il conte Uzeda. Per amore della verità, spiegava che Giulente s’era dapprima rifiutato, parendogli una cosa troppo