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I Vicerè | 359 |
vunque si trovava, tra parenti od amici o semplici conoscenze, approvava il cugino Giacomo, esprimeva il grande dispiacere che «a noi della famiglia» cagionava l’ostinazione di Raimondo. Come mai poteva egli del resto sperare di ottener l’intento? Dicevano che donna Isabella chiedesse lo scioglimento del matrimonio perchè non era stato consumato! Ma a chi volevano darla a bere? Perchè non c’erano figli? Non sapevano tutti che Fersa, giovanotto, avea corso la cavallina?.... O forse speravano di poter sostenere, come dicevano certi altri, che donna Isabella era stata forzata a sposar Fersa, senza volerlo? Questa doveva essere fatica particolare del Giulente! «Guardate un po’ che immoralità! sostenere una causa condannata da tutti, che fa tanto dispiacere alla famiglia! È venuto a ficcarsi tra noi per metter guerre e liti, questo avvocato delle cause perse!...» Ma ella prevedeva un fiasco colossale. Già, cominciamo che il tribunale civile non era buono ad annullare un matrimonio contratto sotto il codice napoletano del 1819; bisognava rivolgersi alla Corte vescovile; ma qui cascava l’asino, perchè Monsignor Vescovo, e il vicario Coco e il canonico Russo e tutti i maggiorenti della Curia erano col principe contro il conte, giustamente, sapendo i torti di Raimondo e della Fersa, non potendo metter mano a sanzionare uno scandalo di quella fatta!...
Dall’altra parte i fautori del conte e di donna Isabella davano sicura la riuscita. L’impotenza di Fersa, la violenza patita da sua moglie erano affermate da una quantità di persone; ma specialmente Pasqualino sonava la campana per conto del suo padrone. Sissignori: il cavaliere Giulente, e non avvocato, studiava e dirigeva la causa del cognato, piuttosto che lasciarla in mano di qualche strascinafaccende di quelli da quattro il mazzo; ma del resto egli non aveva molto da faticare, perché il motivo della nullità del matrimonio di donna Isabella era chiaro e lampante. Lasciamo stare che Fersa non era precisamente un vulcano, come uomo; ma lo zio di lei l’avea costretta a prenderselo mettendole il coltello