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cava preferibile una villetta, anche per evitare le indiscrezioni della gente.»

Giulente stava per dire che facevano bene, quando Lucrezia esclamò:

— Che c’entra la gente? Se vi nascondete, dirà che avete paura! Parliamo chiaro: vi saranno molti che faranno gli schifiltosi, — donna Isabella chinò gli occhi; — se cominciate voialtri a dar loro ragione, è finita!

Raimondo non disse nulla, aspettando di veder Giacomo che era al Belvedere ed al quale nella mattina aveva spedito Pasqualino per avvertirlo del suo arrivo. Ma il cocchiere tornò con un’aria confusa e mortificata e non sapeva spiccicar parola «È venuto?» gli aveva detto il principe; «e che vuole?...» come ad uno che si presenta per chiedere quattrini. «Niente, Eccellenza.... manda ad avvertire l’Eccellenza Vostra.... desidera sapere quando tornerà in città Vostra Eccellenza....» Con lo stesso tono di voce il principe aveva risposto: «Comincia adesso la villeggiatura; tornerò a novembre....» e gli aveva voltato le spalle. Raimondo, alla narrazione della scena, si morse le labbra; donna Isabella esclamò:

— Che abbiamo fatto!... Tuo fratello ci disapprova! — Ed incolpando solo se stessa: — Ti ho messo in urto con la tua famiglia!...

— La vedremo, — rispose brevemente Raimondo.

Le previsioni di lei si avveravano. I più, senza accogliere nè rifiutare le scuse e le accuse relative al secondo e decisivo abbandono della famiglia, biasimavano Raimondo pel viaggio fatto insieme con l’amica, il soggiorno nell’albergo, l’unione apertamente confessata, quasi sfidando l’opinione pubblica. Egli poteva aver torto o ragione di lagnarsi della moglie; la passione per donna Isabella poteva scusarsi; però i moralisti, i padri di famiglia, le signore più o meno timorate volevan salve le apparenze; e quantunque ci fosse poca gente in città, pure quegli umori si manifestavano in certi freddi saluti rivolti a Raimondo, in certi ambigui discorsi di servitori. In campagna, nelle ville dove la notizia dello