Pagina:I Vicerè.djvu/340

338 I Vicerè

venuti quasi alle mani, egli s’alzò per parlare. Nell’imbarazzo da cui era vinto, l’argomento suggerito da don Blasco gli parve il più opportuno. «Nessuno poteva mettere in dubbio, disse, la sua devozione al Generale, nè la coscienza gli permetteva di dare ragione a quelli che volevano schierarsi contro il liberatore della Sicilia; ma bisognava piuttosto dimostrargli, col dovuto rispetto, il pericolo a cui era esposta la città. Delle due l’una: o agiva d’accordo col Governo, e allora non aveva nessun interesse di restare a Catania; o il Governo gli si opponeva, e allora bisognava chiedere al suo cuore di evitare gli orrori della guerra civile ad una città popolosa e fiorente. E questo era proprio il caso, poichè il governo aveva deciso di opporglisi....» Quel discorso scandalizzò i suoi antichi amici; ma, prendendoli a parte uno dopo l’altro quando l’assemblea fu sciolta senza nulla deliberare, egli li esortò a piegarsi, esponendo la verità nuda e cruda, le notizie dategli dal duca. «Perchè non viene egli stesso, allora?» domandavano. «Che cosa sta a fare a Torino, mentre qui si balla?» Ed egli lo giustificava, annunziando che appena avrebbe potuto si sarebbe messo in viaggio, ma che intanto bisognava mandare una commissione al Generale per indurlo a sgomberare....

La sua propaganda ottenne l’effetto desiderato. Sul partito ostile a Garibaldi s’erano accumulati molti sospetti, poichè i borbonici, i paurosi senza nessuna fede erano con esso; ora che un liberale provato consigliava non la resistenza, ma la rispettosa esposizione del pericolo, questo consiglio si faceva strada. Benedetto non ebbe tuttavia il coraggio di andare in persona dal Generale ad esporgli la sua nuova opinione; lasciò che andassero gli altri. Costretto a condurre sua moglie al Belvedere, se ne tornò solo in città, aspettando gli avvenimenti, scrivendo e telegrafando al duca per invitarlo a venire. Passarono alcuni giorni senza che la situazione mutasse. Garibaldi, dall’alto della cupola di San Nicola, scrutava spesso la linea dell’orizzonte, col can-