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I Vicerè 319

garbugli capace di tutto per amore di far quattrini, non sarebbe stato più da temere, non avrebbe consigliato di porre subito mano alla causa? Invece egli confidava di riuscire a metter pace fra marito e moglie; fino all’ultimo momento ce ne sarebbe stato il tempo. Poi, gli ostacoli enormi da superare finivano di rassicurarlo. Lo scioglimento d’un matrimonio era impresa difficilissima; ma donna Ferdinanda voleva scioglierne due: quello della Fersa e quello di Raimondo, e i motivi mancavano, mancavano perfino i pretesti, da una parte e dall’altra. Che male commetteva egli dunque rienumerando i motivi necessarii dei quali il cognato gli aveva già chiesto una prima volta, e discutendo con la zitellona la via che si sarebbe dovuto tenere se qualcuno di quei motivi fosse realmente esistito? Non era una pura accademia, una specie di lezione di diritto canonico, come quella del suo antenato, che il cavaliere don Eugenio, Gentiluomo di Camera, aveva elogiato?... Nondimeno, una secreta soggezione lo impacciava dinanzi a Matilde, come fosse già complice della trama ordita contro la poveretta. La contessa, però, mostravasi più serena e confidente che al tempo del suo arrivo in casa Uzeda; a poco a poco ella s’era lasciata vincere dalla speranza, vedendo che Raimondo non parlava più di tornare in Toscana, che le prometteva di condurla, subito dopo il parto di Chiara, a Milazzo per raggiungere le bambine e poi a Torino, dove il padre di lei, placatosi, li aspettava. Come suo padre aveva dimenticato i severi propositi contro Raimondo, anche Raimondo non poteva aver dimenticato l’amore di quell’altra?... Non finiva tutto, col tempo?...

E Chiara non partoriva. Il secondo nono mese stava per finire e il suo ventre non si sgonfiava. I dolori e le trafitture erano continui, oramai; ma, col coraggio dei maniaci, non ne diceva niente a nessuno, ostinata a voler sgravarsi senza aiuto di medici o di levatrici. Il guaio fu che, compiuto il decimo mese, ella non si liberava ancora. Certamente, aveva sbagliato il calcolo;