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314 | I Vicerè |
un mesetto al Belvedere, e ci stettero così una settimana appena. Egli non se ne lagnava, contento della pace fatta con la zia, la quale, se li aveva cercati ogni giorno in campagna, venne mattina e sera a trovarli in città. Arrivava per tempo, quando i Giulente padre e madre non erano ancora passati dalla nuora, la quale restava a letto fino a tardi. Benedetto, in piedi col sole, dava gli ordini alle persone di servizio per la colezione e il desinare, curava che la moglie, levandosi, trovasse la casa ravviata, e tutto in ordine; e donna Ferdinanda, dopo aver discorso del proprio credito, cominciava a fare le sue osservazioni sulle faccende dei nipoti: se desinavano troppo tardi per seguire la moda italiana portata da quella bestia del duca; se il venerdì comperavano il pesce troppo caro, quando avrebbero potuto contentarsi, come lei, del baccalà; se davano alla cameriera tutto il trattamento invece della sola minestra come usava lei stessa in casa propria. E a poco a poco ficcava il naso in tutte le cose più minute, più intime: rivedeva i loro conti, esaminava la nota della lavandaia, criticava la compera degli strofinacci, dettava sentenze di economia domestica, biasimava il largo spendere di Benedetto dopo essersi opposta al matrimonio perchè i Giulente erano «pezzenti.» Benedetto non si stancava di quella vigilanza curiosa e minuziosa, in grazia della benevolenza di cui gli pareva prova; anzi, per ingraziarsela meglio, invitava la zia una volta la settimana a desinare e un’altra a colazione; ma la zitellona, che non si faceva molto pregare e che sfruttava in ogni modo i nipoti, esercitava con sempre maggiore autorità la sua critica, voleva essere ascoltata in tutto e per tutto; non potendo prendersela con Benedetto, il quale le stava dinanzi come un servitore, punzecchiava la nipote perchè si levava tardi, perchè fino a mezzogiorno restava discinta, coi capelli sulle spalle e i piedi nelle pantofole; tanto che finalmente questa disse a suo marito:
— Mi comincia a seccare, sai!