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I Vicerè 29

Prima ancora di scorgere i caratteri, don Cono che la sapeva a memoria, recitò l’epigrafe al barone, fermandosi un poco a ciascuna parola, più a lungo ad ogni capoverso, gestendo con la mano come se spruzzasse acqua benedetta, per sottolineare i passaggi salienti:

― Ignoro se approvate questo concetto: orbata.... vece facesti....

Ma nuove ondate della folla lo divisero la seconda volta dal compagno. Veniva ora dalla terrazza e dalle scalinate un vasto sussurro perchè i rintocchi del mortorio annunziavano finalmente la partenza del corteo dal palazzo.

Intorno alla casa Francalanza c’era come una fiera, per le tante carrozze aspettanti, pel tanto popolo fremente d’impazienza. Dal portone socchiuso vedevasi un’altra folla ragunata nei due cortili, uno sciame di servi con le livree nere che andavano e venivano, il maestro di casa senza cappello che s’affannava a dar ordini, la carrozza di gala a quattro cavalli che sarebbe servita da carro funebre. Quando finalmente le due pesanti imposte girarono sui cardini, tutte le teste si voltarono, tutte le persone s’alzarono sulle punte dei piedi. Veniva innanzi la fila dei frati Cappuccini con la croce, poi la carrozza funebre, dentro alla quale si vedeva il feretro di velluto rosso, fiancheggiata da tutta la servitù con le torce in mano; poi l’Ospizio Uzeda dei vecchi indigenti, tutti a testa nuda; poi le ragazze dell’Orfanotrofio coi veli azzurri pendenti fino a terra; poi tutte le carrozze di famiglia: altri due tiri a quattro, cinque tiri a due, e poi ancora un altro gruppo di gente: una quarantina d’uomini, la più parte barbuti, con le giubbe di velluto nero, anch’essi coi ceri in mano.

― Chi sono?... Di dove spuntano?...

Erano i zolfai delle miniere dell’Oleastro chiamati a posta da Caltanissetta per l’accompagnamento della padrona: quest’ultimo accessorio finiva di sbalordire tutti quanti: ancora non s’era vista una cosa simile!... Ma gli equipaggi che s’avanzavano da ogni parte per met-