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I Vicerè | 307 |
pareva non accorgersi delle sue lacrime; ella nondimeno aspettava, affrettava coi voti più ardenti qualcosa: non il ritorno di Raimondo, che sarebbe stato una gioia troppo grande, ma una sua lettera, almeno, di pentimento, o l’intromissione di qualcuno dei suoi.... La bambina s’era rimessa; ai piedi della Madonna ella implorava il perdono d’un pensiero abominevole; se Lauretta fosse ricaduta, avrebbero potuto chiamarlo....
S’ammalò invece ella stessa. Vedendola piangere anche nella febbre, il barone proruppe, col tono acre che prendeva cedendo: «Non vuoi dunque finirla? Bisogna anche dargli questa soddisfazione, di pregarlo per giunta? Bada però!...» soggiunse con voce minacciosa: «Dal giorno che tornerete insieme, fa’ conto che io non ci sia più!... Scegli tra noi due: non t’imaginare che io possa aver più nulla di comune con lui!...» Povero babbo! Burbero, rigido, violento con tutti, egli aveva sempre ceduto dinanzi alle sue figlie, studiandosi di fare la voce grossa, mettendo patti che la violenza del carattere gli dettava, ma che l’inesauribile bontà del cuore non gli permetteva, alla lunga, di mantenere. Scrisse così al duca, andò insieme con lui a raggiungere Raimondo dopo averla accompagnata a Milazzo, e glie lo ricondusse.
Non v’era stata, tra lei e suo marito, neppure una parola relativa al passato; nell’atto che egli le tornava vicino, avrebbe ella potuto rammentargli i suoi torti? Da parte sua egli non le chiese perdono, non le disse una buona parola; le venne incontro indifferente come se l’avesse lasciata il giorno innanzi. Nè ella sperava più di questo. Il suo bel sogno d’amore e di felicità s’era a poco a poco, di giorno in giorno, dileguato; adesso, rassegnata alle tristezze della realtà, ella non chiedeva che la quiete. Purché Raimondo volesse bene alle sue creature, purchè non le abbandonasse un’altra volta, ella era disposta a sopportare ogni cosa....
In casa del principe, adesso, dov’eran venuti pel matrimonio di Lucrezia, lasciando a Milazzo le bambine,