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276 | I Vicerè |
Allora una grande confusione ammutolì tutti quanti. Federico, accarezzandole le mani, baciandola in fronte, le disse:
— Coraggio, figlia mia!... Fàtti coraggio.... Vedi che anch’io mi rassegno! Il Signore non volle....
— È morta? — domandò ella, impallidendo.
— No.... è nata morta.... Coraggio, poveretta!... Purchè tu stia bene.... il resto è nulla: sia fatta la volontà di Dio.
— Voglio vederla.
Tutti la circondarono, insistendo per dissuaderla da quel proposito: giacchè era morta! perchè angustiarsi a quella vista! bisognava che ella s’avesse riguardo; l’importante adesso era la salute di lei!
— Voglio vederla, — ripetè seccamente.
Bisognò contentarla. Non pianse, non provò raccapriccio nell’esaminare quell’abominio; disse al marito:
— Era tuo figlio!...
E ordinò che non lo portassero via, pel momento. Arrivarono frattanto gli altri parenti, don Eugenio, donna Ferdinanda, la duchessa Radalì, i cugini del marchese; tutti si condolevano, ma auguravano miglior fortuna per la prossima volta. Arrivò anche il duca, verso sera, a fare i suoi convenevoli; ma restò poco, giacchè i Giulente lo aspettavano giù, per riferirgli le ultime notizie intorno alle disposizioni del collegio: Benedetto pareva Garibaldi quando disse a Bixio: «Nino, domani a Palermo!...»
Il domani infatti egli corse su e giù per le sezioni, per le case dei votanti, sollecitando la formazione dei seggi, interpetrando la legge che riusciva nuova a tutti, incitando la gente a deporre nell’urna il nome del duca. Frattanto in casa di Chiara, quasi in segno di protesta contro quell’ultima pazzia del duca, s’erano riuniti tutti gli Uzeda borbonici, ad eccezione di don Blasco il quale, dopo la transazione dei nipoti, la conclusione del matrimonio di Lucrezia e la candidatura del fratello, pareva veramente impazzito. La marchesa stava discre-