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I Vicerè | 25 |
Un formicaio, la chiesa dei Cappuccini nella mattina del sabato, che neppure il Giovedì Santo tanta gente traeva a visitarvi il Sepolcro. Tutta la notte era venuto dalla chiesa un frastuono di martelli, d’ascie e di seghe, e le finestre erano state abbrunate fin dal giorno precedente. A buon’ora, dinanzi alla folla curiosa che gremiva la terrazza e le scalinate, avevano inchiodato sulla porta maggiore il drappellone di velluto nero con frange d’argento, sul quale leggevasi a caratteri d’oro:
PER L’ANIMA
DI
DONNA TERESA UZEDA E RISÀ
PRINCIPESSA DI FRANCALANZA
ESEQUIE
Verso sedici ore, don Cono Canalà, col naso in aria, sotto la porta, spiegava al principe di Roccasciano, tra le gomitate di quelli che entravano continuamente:
― Veda: all’esterno non giudicai conveniente.... dilungarmi del soverchio.... Massima semplicità: per l’anima.... esequie.... Penso che nella sua concisione.... per avventura....
Ma gli urti, le pestate di piedi, le esclamazioni dei curiosi non gli consentivano di filare il discorso; la gente sbucava a torrenti da tutte le parti, sospingevasi in chiesa, calpestava i mendicanti venuti a mettersi accosto alle porte ed ai cancelli per far baiocchi.
― Sol esso il nome.... onde i concetti, per avventura....
Alla fine, don Cono si decise anch’egli ad entrare; ma, separato dal compagno, fu travolto, come un chicco di caffè nel macinino, dal turbine umano che per il troppo angusto passaggio s’ingolfava nella chiesa.
Essa era buia, pei veli delle finestre, pei manti neri che rivestivano le pareti e pendevano dalle arcate delle cappelle e si stendevano su pel cornicione. Sopra una piat-