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264 | I Vicerè |
— Risponda sì.... accetti!... Ci vuol tanto?... Se lo vogliamo!
— Ma io non sono adatto.... Sento tutta la responsabilità del mandato.... Non si scherza! Altro è dare qualche consiglio al Municipio, confortato da tutti voi; altro è sedere tra i rappresentanti del Parlamento!
— Signori miei, — fece a un tratto Giulente zio, mettendo fine al cortese contrasto. — Sapete che vi dico? La nostra commissione è compita: il duca sa qual è il desiderio di tutti; per ora egli non ci dice nè sì nè no; lasciamo che ci dorma sopra: domani, dopo domani, quando avrà ben ponderato, quando si sarà consigliato con i suoi amici, ci darà una risposta, e speriamo che sarà la desiderata....
— Ecco! Grazie, così.... — rispose il duca. — Benissimo; vi prometto che ci penserò, che farò il possibile.... Ma intanto grazie a tutti! Ringraziate per me le società; verrò poi io stesso a fare il mio dovere!...
Egli li trattenne ancora, discorrendo delle notizie del giorno, interessandosi alla cosa pubblica, toccando di sfuggita i provvedimenti che bisognava reclamare dal governo di Torino pel bene del paese, per il migliore assestamento del nuovo regime. Prese da un cassetto della scrivania una scatola di sigari: sigari d’Avana, color d’oro, dolci e profumati, e ne fece larga distribuzione, stringendo la mano a tutti, ma più forte ai due Giulente. Il domani, l’Italia risorta portava un articolo di fondo di Benedetto sulle imminenti elezioni, nel quale era detto: «Due soltanto i criterii ai quali possono ispirarsi i votanti: l’intemerato patriottismo che sia arra dell’italianità dell’eletto — la cospicuità della posizione sociale che gli permetta di svolgere la propria missione con quell’indipendenza che dà guanto di disinteresse e di sincerità. Ora allorquando il paese ha la fortuna di possedere un Uomo che risponde al nome di duca Gaspare Uzeda d’Oragua, noi crediamo che ogni discussione si riduca un fuor d’opera, e che tutti i voti