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262 I Vicerè

gendo le mani; la cugina corse all’uscio ad origliare. Più nulla: nè voci, nè pianto. Donna Ferdinanda ricomparve sola e venne a sedersi tranquillamente vicino alla nipote, stirandosi la palma della mano arrossata. Parlò del più e del meno, volle sapere che cosa avevano a desinare e domandò notizie di Teresina, che giusto quel giorno era a San Placido, dalla zia Crocifissa. Poi si alzò per andarsene; la cugina l’accompagnò.


Intanto giù nell’amministrazione i delegati delle società, ammessi in presenza del duca, erano stati da costui invitati a sedersi in giro; Giulente nipote, prendendo a parlare in qualità d’oratore, diceva:

— Signor duca, in nome dei sodalizii patriottici il Circolo Nazionale, l’Unione Civica, la Lega Operaia, il Riscatto Italiano, i Figli della Nazione, dei quali le presento le rappresentanze.... veniamo a compiere il mandato affidatoci, di pregarla affinchè ella accetti la candidatura al Parlamento italiano. Il paese ben conosce di chiederle un sacrifizio, e un sacrifizio non lieve; ma il patriottismo di cui ella ha dato tante e sì splendide prove, ci dà guanto che anche una volta vorrà rispondere all’appello del paese....

I tre o quattro popolani tenevano il cappello con tutt’e due le mani, stretto come se qualcuno volesse portarlo loro via; Giulente zio guardava per terra. Il duca, finito il discorsetto del giovane, rispose, cercando le parole una dopo l’altra, con voce strozzata:

— Cittadini, son confuso.... e vi ringrazio, veramente.... Sono stato felice.... orgoglioso anzi direi.... di aver potuto contribuire, come ho potuto, al riscatto nazionale.... e alla grand’opera dell’unificazione della nazione.... Ma, veramente, ciò che voi mi domandate.... è superiore alle mie povere forze.... È un mandato.... Permettete!... — soggiunse con altro tono di voce, vedendo far gesti di diniego, — che non saprei come disimpegnarlo.... al quale è d’uopo attitudini speciali che io non