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I Vicerè 257

IX.


— Bello!... Bello!... E questi bavagli, come sono graziosi!... Le calzettine, le scarpette: avete pensato a tutto!

La cugina Graziella esaminava, capo per capo, sotto gli occhi di Chiara e del marchese, il corredo del nascituro: sei grandi ceste piene di tanta roba da bastare a un intero ospizio di lattanti; e trovava parole d’ammirazione per tutte le fasce, per tutte le cuffie, per tutti i corpettini; ma ogni tanto si fermava, tirando forte il respiro, passandosi la lingua sulle labbra, gravida anche lei di qualche cosa che voleva dire, ma che nè il marchese nè Chiara si decidevano a domandarle.

— E le vesticciuole, non l’avete viste ancora? Guardate, guardate!

— Oh, che bella cosa!... Dove hai trovato questi merletti?... Belle tutte, belle!... Ma più la bianca coi nastri celesti! Un amore!... Lucrezia ci ha lavorato?

— No, nessuno: ho voluto far tutto con le mie mani.

— Ce n’è spesi quattrini, eh?... Il Signore possa benedirveli tutti!... Avete aspettato un bel pezzo, ora la vostra contentezza è vicina!... Vi volete tanto bene!... Per me, mi gode l’animo quando vedo le famiglie tanto affiatate!... Così vorrei che anche Lucrezia fosse contenta.... Voi altri non sapete?

— Che cosa?

Ella abbassò un poco la voce per dire, con aria di mistero:

— Giulente l’ha chiesta allo zio duca!

Ma Chiara continuò a piegare la biancheria sulle ginocchia, quasi non avesse udito o non avesse compreso che si parlava di sua sorella; e solo il marchese domandò, distrattamente, riponendo con bell’ordine la roba nelle ceste:

— Chi ve l’ha detto?

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