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labbra!» Ma all’annunzio che, rotto ogni indugio, le squadre stavano per scendere in città, il principe andò a San Nicola per raccomandare il bambino all’Abate, al Priore e a don Blasco e fatte attaccar le carrozze, partì con tutti i suoi, da Ferdinando in fuori, il quale nè per pestilenze nè per rivoluzioni lasciava le sue Ghiande. Allora il duca, per non restar solo nel palazzo deserto, se ne venne al convento, dove il nipote Priore gli dette una camera della foresteria. Don Blasco, vistolo lì dentro, parve uno spiritato; sulle prime non potè articolar parola; poi, corso fra i Padri della sua camarilla, vociferò:

— L’eroe! L’eroe! L’eroe! Quel grande eroe!... Quel fulmine di guerra!... S’è ficcato qui per la paura! Finta che a casa non c’è più nessuno! Gli treman le chiappe, invece!..."

Il convento infatti cominciava a popolarsi di paurosi, di preti fuggiaschi, di spie borboniche, di gente invisa ai liberali; lo stesso castello non era giudicato altrettanto sicuro. Pei novizii, quantunque alcuni di essi fossero stati portati via dai parenti inquieti, era una festa: tante facce nuove, un incessante andirivieni, la continua aspettativa di non si sapeva che cosa. I ragazzi liberali avean formato anch’essi la loro squadra, a similitudine di quelle accampate fuori la città: Giovannino Radalì la capitanava, maturando il piano di sollevare il convento, di scendere in piazza e di unirsi ai rivoltosi grandi. Mancavano però di bandiere, e col pretesto di apparare un altarino mandarono il cameriere a comprar carta variamente colorata. Il cameriere, con la bianca e la rossa, ne portò dell’azzurra invece della verde; quello sbaglio fu causa che si perdesse un giorno. Il principino, al quale naturalmente, nella sua qualità di sorcio, i rivoluzionarii non avevano detto niente, capito nondimeno che c’era qualcosa per aria, aveva deliberato di scoprir paese. Una circostanza straordinaria lo aiutò. Il tabacco piantato insieme col cugino era maturo; le foglie, strappate, poste da qualche