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I Vicerè 235

nino aveva ottenuto da Frà Cola, in gran segreto, della semente di tabacco, e l’aveva piantata in un angolo del giardino; cresceva rigogliosa, e presto ne avrebbe fatto sigari. Frattanto giocavano da mattina a sera, con pochi momenti di studio svogliato, con qualche ora di funzioni religiose.

Per la festa di Sant’Agata, in agosto, andarono a spasso tutti i giorni, assistettero alla processione del carro, all’oratorio cantato in piazza degli Studii, e con più piacere alle corse, che Raimondo chiamava barbarie. Le facevano lungo la via del Corso, tra due siepi vive di curiosi, sui quali spesso i cavalli si gettavano, sparando calci ed ammaccando costole. I cavalli vincitori ripercorrevano poi la via al passo guidati dai palafrenieri che lanciavano tratto tratto un grido ai balconi:


— Affacciatevi, principi e baroni,
Che sta passando il re degli animali!


E la folla: «Olè...» Consalvo stava attento al cerimoniale spagnolesco di quelle feste: il Senato della città, nella berlina di gala grande quanto una casa, preceduta da mazzieri e gonfalonieri e catapani che sonavano i tamburi, andava a prendere l’Intendente, il quale doveva farsi trovare sul portone: al senatore più giovane toccava mettere il piede sulla predella, in atto di scendere; ma allora il rappresentante del governo doveva avanzarsi con le braccia distese, per impedirgli di toccar terra. Erano le prerogative della città. Il Senato aveva avuto lunghe contese con le altre autorità circa il posto da occupare nella cattedrale, durante le grandi funzioni: per evitare liti ulteriori, s’era tracciata per terra una riga di marmo che nessuno poteva varcare.

Finita la festa di Sant’Agata, a San Nicola Novizii e Fratelli prepararono quella del Santo Chiodo, per cui ogni anno c’era grande aspettativa.