Pagina:I Vicerè.djvu/23


I Vicerè 21

pagnato don Lodovico novizio; e tutta la servitù lo conosceva e gli voleva bene, tant’era buono, con quel suo faccione che pareva scoppiare, grasso fin sulla nuca.

— Povera principessa!... Che gran disgrazia!

Egli lodava la morta e rammentava i tempi del noviziato di Padre Lodovico, quando, conducendo a casa il ragazzo in permesso, le portava regalucci di nocciole, di castagne che la buona signora degnavasi accettare.

— Alla mano con tutti!... Affezionata con tutti!... Povero Padre Lodovico! Deve aver pianto!

Le donne esclamarono:

— Figuriamoci! Un santo come lui!...

E Frà Carmelo:

— Un vero santo! Non c’è monaci che gli possano stare a paragone. Non per nulla l’han fatto Priore a trent’anni!

— Suo zio don Blasco non gli somiglia?... — disse improvvisamente il cocchiere maggiore, con una strizzatina d’occhi.

— È un’altra cosa. Tutti gli uomini possono esser formati a un modo?... Ma bravo anche lui!... Signore anche lui!...

E giusto il discorso era a quel punto, quando un lontano rumore di carrozza con le sonagliere fece tacer tutti. Giuseppe, guardato dallo sportello, spalancò il portone: il carrozzino della mattina entrò a rotta di collo e ne scesero il principe e il signor Marco che teneva una valigia in mano, mentre tutti si scoprivano e dalla loggia del piano nobile affacciavasi don Blasco.

Il ritorno del capo della famiglia, nella Sala Gialla, produsse una nuova commozione: sospiri, singhiozzi, mute strette di mano. Il principe era sempre pallido e parlava a stento, con gesti larghi di sconforto:

— Troppo tardi!... Più nulla da fare!... Fino a iersera stava benissimo, mangiò anzi con appetito due uova e bevve una tazza di latte... All’alba di stamani, improvvisamente, chiamò e... — e tacque, quasi non potendo proseguire.