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I Vicerè | 225 |
fuori, tornava con ciera più rannuvolata, non rivolgeva la parola a Raimondo. Una sera si chiuse in camera con lei e le disse:
— Mi vuoi dire finalmente quando la smetterai? Non negare, è inutile; so tutto....
Ella tremava in tutta la persona, balbettando:
— Che sai? Io non capisco.... non so nulla....
— So che tuo marito fa una bella vita, ti dimostra un grande amore,— esclamò il barone con voce gravida di sorde minacce. — Ho ricevuto una lettera anonima; sono venuto per questo.... La buona gente non manca!... Ma poichè tu non parli.... poichè non ti confidi a tuo padre!... Adesso bisogna mettere le carte in tavola, hai capito? — e picchiò forte con una mano contro l’altra.
— Sì, sì, non t’inquietare....
Ella non sapeva adesso donde le venisse quella calma sovrumana, quella forza di negare la cagione del suo lungo cordoglio: — Non t’inquietare, non vedi come sono tranquilla?... Te lo giuro, non so nulla.... Saranno calunnie.... v’è tanta cattiva gente!... Un anonimo!... Prendi sul serio quel che scrive un anonimo?...
Il barone passeggiava per la camera facendo scoppiare l’indice contro il pollice, volgendo intorno accigliato gli sguardi.
— Tanto meglio!... Tanto meglio!... Ma qui bisogna finirla con questo andirivieni continuo! Bisogna decidersi a stare in un posto qualunque, ma stabilmente, a casa propria, coi figli, come tutti gli altri cristiani....
— È quello che diciamo anche noi.... Credi forse che non ne siamo persuasi?... Raimondo vuol tornare a Firenze; ci saremmo già se non fossero gli affari della divisione, il pagamento delle mie cognate.... E sorridendo soggiunse: — Ti pesano forse, le bambine?
— Non far la stupida. Con me, sai, non ci riesci.
Ella sentiva in ogni parola del padre, in quell’impeto a stento frenato, che egli aveva acquistato la certezza del tradimento di Raimondo, di qualche cosa di più
I Vicerè - 15 |