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I Vicerè 219

Egli aveva anche raggiunto lo scopo di rompere la lega tramata contro di lui, perchè il marchese Federico, fanatico della nobiltà quanto gli Uzeda, udendo che la cognatina incaponivasi nel voler sposare Giulente, aveva dimostrato il proprio dispiacere per quel partito; allora sua moglie s’era schierata con la zia contro la sorella, dandole della stravagante, accusandola di pazzia. Lucrezia invece, sfogandosi con Vanna, rammentava le smanie, i pianti, gli svenimenti di Chiara quando l’avevano costretta a sposare il marchese: «E adesso si mette con quelli che vogliono costringere me! Non m’importa della sua opposizione! Una pazza di quella fatta! Una bandiera al vento! Ora è tutt’una cosa col marito che prima non poteva sentir nominare; domani cambierà un’altra volta: vedrai!...»


In mezzo a quella guerra, tornò Raimondo da Milazzo, senza la famiglia. Non s’occupò neppure un quarto d’ora della casa e dei parenti; appena arrivato si chiuse con Pasqualino, il domani fu visto seguire in chiesa la Fersa; le mormorazioni dei servi, dei curiosi, degli scioperati del Casino dei Nobili ricominciarono. Aveva detto a sua moglie che sarebbe rimasto lontano una settimana, per affari, ma dopo due mesi non le annunziava ancora il ritorno. Alle lettere di lei rispondeva chiedendo tempo, o non rispondeva affatto; in carnevale, Matilde lo raggiunse, accompagnata dal padre. Egli l’accolse con tre parole, pronunziate freddissimamente:

— Perchè sei venuta?

Aveva combinato una serie di divertimenti con gli amici che gli davano mano; il giovedì grasso, in un carro rappresentante un vascello dove tutti erano mascherati da marinai, passò e ripassò sotto la casa di donna Isabella, scagliando fiori e confetti per un quarto d’ora ogni volta contro i suoi balconi; il sabato, a una festa a contribuzione data nelle sale del municipio, ballò tutta la sera con lei; il lunedì ricominciò, al veglione