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218 I Vicerè

ceva, tanto più che una scelta ella doveva averla già fatta.... La zitellona, a questo, si rivoltò come un aspide:

— Ha scelto? Ha scelto? E chi è che ha scelto?

— Chi? Il solito Giulente!...

Ella diventò rossa in viso quasi fosse sul punto di soffocare.

— Ah sì?... Ancora?... E tu l’hai lasciata fare?

— Vostra Eccellenza sa bene come siamo tutti di casa — rispose il principe, sorridendo. — Quando ci mettiamo qualcosa in capo, è difficile ridurci a mutar sentimento....

— Ah, è difficile? Le farò veder io se è difficile o è facile!...

Da quel momento la zitellona diventò una vipera con la nipote: le sgridate, per una ragione o per un pretesto qualunque, s’udivano fin giù nelle scuderie; le allusioni ironiche ai romanzetti fioccavano acri e pungenti, gl’insulti contro i Giulente si seguivano e non si rassomigliavano. Diceva cose enormi dei vicini, li accusava d’ogni porcheria e perfino di crimini. Non si contentava più di dire che erano ignobili, affermava che il nonno del vecchio Giulente aveva accumulato i primi quattrini facendo il bottinaio a Siracusa, suo figlio aveva rubato il municipio, suo nipote il governo, tutte le donne erano state altrettante baldracche.... Lucrezia la lasciava dire. Non capivano che più s’accanivano contro Giulente più ella pensava a lui, che ogni discorso diretto a distoglierla dal suo proposito glie lo ribadiva in capo più saldo. «Sposerò Benedetto, o nessuno», diceva alla cameriera, dopo quelle sfuriate. «Hanno voglia di gridare; quando sarà l’ora, lo sposerò.» Il principe intanto, dopo averle sciolto contro quel cane, la trattava meno duramente. Un giorno che la donna portava una lettera di Giulente alla padroncina, egli le tolse la carta di mano, ne lesse l’indirizzo, e glie la restituì. Donna Vanna corse dalla signorina per dirle, ansante: «Vostra Eccellenza stia di buon animo! Vuol dire che ci ha piacere, che finalmente s’è persuaso...»