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204 I Vicerè

gersi di gelosia, vedendolo ancora una volta accanto a quella donna, non potendo soffrire di doverla trattare da amica mentre una voce interiore l’avvertiva di non fidarsene. Ammalata di cuore e d’imaginazione, con la sensibilità eccitata dai dolori continui, ella adesso credeva ai funesti presentimenti, temeva e sospettava di tutto. Nella felice ingenuità di altri tempi, avrebbe ella accolto il sospetto che il principe lasciasse libero Raimondo di fare quel che più gli piaceva e quasi secondasse i suoi vizii, e lo incitasse a giocare e gli procurasse le occasioni di veder quella donna, per distoglierlo dagli affari ed averne solo il maneggio? Un sospetto così triste non le sarebbe neppure passato pel capo quando ella credeva tutti buoni e sinceri; adesso, spaventata degli altri e di sè stessa, non riusciva a combatterlo.... Come respingerlo, se il principe pareva mettere ogni impegno perchè donna Isabella venisse al palazzo Francalanza, mentre la suocera di lei, donna Mara Fersa, cominciava a mostrare una specie di diffidenza per quelle relazioni divenute troppo intime?...


Donna Mara Fersa aveva tollerato molte cose alla nuora palermitana; la rivoluzione messale in casa, il mal nascosto compatimento col quale la trattava, i gusti costosi e le opinioni ardite; ma chiusi tutt’e due gli occhi quando ne soffriva lei stessa, non intendeva chiuderne neppure uno se era in giuoco suo figlio. L’amicizia degli Uzeda, sissignore, stava benissimo e le faceva anche tanto piacere: ma che Raimondo stesse sempre alle costole dell’Isabella, in casa propria o in quella di lei, in chiesa, al teatro ed al passeggio, forse usava a Firenze ed era una cosa elegante, di quelle che ella, educata al vecchio modo, non comprendeva; ma non le piaceva nient’affatto e non intendeva che continuasse. Senza addurne la ragione per non mettere il carro avanti ai buoi, aveva fatto capire al figlio ed alla nuora che, trattando da buoni amici gli Uzeda, non c’era poi bi-