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198 | I Vicerè |
zioni cutanee, con ingorghi di glandole: tutti sintomi rassicuranti, poichè volevan dire che l’organismo espelleva il principio morboso.
Ella s’era votata alla Madonna delle Grazie, le aveva promesso di vestire il suo abito fino alla guarigione di Lauretta; in cuor suo aveva chiesto un’altra grazia alla Madonna: di illuminare Raimondo, di ridestare il suo affetto di marito e di padre.
Fin da quando erano andati a Milazzo, secondo la promessa fattale al Belvedere dopo il colera, egli aveva ricominciato a smaniare, a mostrarsi infastidito e crucciato, a dichiarare che non poteva restare a lungo lontano da casa sua per gli affari della divisione. Ed ella s’era appena sgravata, stava ancora tra vita e morte dopo un parto difficilissimo, quando, addotta una chiamata del fratello, egli se ne partì. Rimase lontano pochi giorni, ma era la prima volta che l’abbandonava giusto nel momento che la compagnia e l’assistenza di lui le erano più necessarie. La nuova tristezza non giovò certamente a darle forza per vincer presto il male; ma un dolore più grande l’aspettava e i suoi presagi dovevano tutti avverarsi, poichè la creatura che ella aveva portata in grembo mentre il suo cuore agonizzava era venuta al mondo così debole e stremata e cagionevole che pareva da un momento all’altro dovesse mancare. Lunghi e lunghi mesi erano così passati, quasi un anno intero, senza che ella potesse lasciar la casa paterna e il capezzale della bambina: durante quell’anno Raimondo era andato e venuto, partito e ritornato parecchie volte, ed ella aveva a poco a poco fatta l’abitudine a quelle assenze, non potendo seguirlo nè opporsi alle ragioni d’affari che egli adduceva. Quando i medici ordinarono il mutamento di aria alla creaturina convalescente, egli volle condurre tutti a Catania. Anche il barone lasciava Milazzo, andava a Palermo con l’altra figlia Carlotta; perciò Teresina, non potendo restar sola, venne col babbo. Non era parso vero a Matilde di vedere Raimondo premuroso