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182 | I Vicerè |
i Grazzeri, discesi di Germania; i Corvitini, fiamminghi; i Carvano, i Costante, francesi; gli Emanuele, appartenenti ad un ramo dei Paleologhi, imperatori d’Oriente.
— Basta essere ai Benedettini, o monaco o novizio, per significare che uno è signore, — spiegava Frà Carmelo al principino. — Qui entrano soltanto quelli delle prime casate, come Vostra Paternità.
Ai ragazzi toccava il Vostro Paternità e il don come ai monaci, e tutte le volte che un Padre o un Novizio passava dinanzi ai Fratelli, questi dovevano inchinarsi, piegandosi in due, incrociando le braccia sul petto; e se erano seduti, alzarsi in piedi per salutare. V’era uno di questi fratelli, Frà Liberato, vecchissimo, quasi centenario, non più buono a nulla, il quale usciva dalla sua camera per tremare al sole sopra una sedia a bracciuoli; un giorno il principino gli passò dinanzi e il vecchio non s’alzò. Allora il ragazzo riferì la cosa al Maestro, il quale fece al fratello una lavata di capo coi fiocchi.
— È istolidito, poveretto, — disse Frà Carmelo, scusandolo. — Quando ci facciamo vecchi, torniamo peggio di quand’eravamo bambini!
Consalvo riceveva così le stesse lezioni che gli aveva fatte donna Ferdinanda, le digeriva meglio che non l’altre del latino e dell’aritmetica. Esse gli davano un’idea straordinaria di quel che valeva, ma gli procuravano anche di solenni scapaccioni dai compagni, specialmente dai maggiori d’età, pel disprezzo col quale li trattava. Michele Rocca si gloriava d’avere anche lui un Vicerè tra gli antenati; ma Consalvo correggeva: «Vicerè? Presidente del Regno!...» E l’altro: «No, Vicerè...» E Consalvo: «No, Presidente...» finchè Michelino, infuriato, gli si slanciava addosso. Allora, piuttosto che venire alle mani, egli gridava al soccorso e a Frà Carmelo toccava comporre la lite. Ma ricominciava con gli altri, attaccava brighe sopra brighe. Quasi tutte quelle famiglie baronali avevano un nomignolo spesso ingiurioso o avvilitivo, col quale erano conosciute in città