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170 | I Vicerè |
non c’erano in paese altro che le stalle dove poter mettere nuova gente. Nondimeno, per donna Clorinda e l’Agatina, che incontravano un nuovo amico ad ogni piè sospinto, tutto il Belvedere si mise in moto, finchè trovarono loro due camerette terrene, un poco fuori mano, ma con un piccolo giardinetto. Appena stabilite, ridussero una di quelle scatole a salottino da ricevere, e cominciò subito l’andirivieni di tutta la colonia cittadina messa in rivoluzione da quell’arrivo. Donna Clorinda, che non s’arrendeva ancora, dava udienza a tutti; ma il posto accanto alla figliuola fu serbato a Raimondo. Per la libertà che regnava in quella casa, pel buon umore delle due donne, anche i rimasti a bocca asciutta ci venivano a passare la sera meglio che al casino, giocando, ciarlando, cantando. E Raimondo, smessa la noia, smessa la mutria, non rincasava più, si faceva ancora una volta aspettare lunghe e lunghe ore dalla moglie triste ed inquieta pel rinnovato pericolo della pestilenza, pei sospetti che quel repentino cambiamento rievocava, accorata più tardi dalle allusioni con le quali donna Ferdinanda, il principe, le stesse persone di servizio le rivelavano gli antichi amori del marito. Poteva ella credere alla nuova tresca con la figlia dell’antica amante? Non era questo un peccato mortale, una mostruosità che la mente di lei rifiutavasi di concepire? Non doveva ella credere, piuttosto, che l’astio dei parenti contro Raimondo e lei stessa ordisse l’accusa maligna?... Bruscamente ritolta alla pace, ella tornava a struggersi, a lottare contro sè stessa, contro i sospetti che la riassalivano non appena scacciati, a passar le lunghe notti autunnali tremando nell’attesa del ritorno di lui, a piangere per gli sgarbi coi quali egli rispondeva alle sue inquietudini.
— Perché resti fuori così tardi? Ho paura per la tua salute....
— Non sono più libero di restar fuori quanto mi piace?
— Sei libero, sì.... Ma non andare in quella casa,