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I Vicerè 167

si sarebbe eseguita, se il Re don Ferdinando, che ritrovavasi in Sicilia, non avesse ordinato che non si effettuisse...» Don Eugenio, di tanto in tanto, per edificazione del ragazzo, giudicava conveniente fare qualche dissertazione morale; donna Ferdinanda invece lodava tutto, ammirava tutto. Col tempo, con l’esercizio del potere, la razza battagliera erasi infiacchita: il secondo vicerè, sfidato a duello da un barone ribelle, «non puose prudentemente orecchio all’invito che questo sconsigliato giovane avevagli fatto;» la condotta dell’imbelle antenato, per la zitellona, era altrettanto lodevole quanto quella degli altri che avevano attaccato lite con tutti per niente. Ed a proposito di duelli, dove lasciare il famoso decreto di Lopez Ximenes?

— Aveva mandato bandi sopra bandi — narrava la zitellona al nipotino, — per proibire le sfide; ma a chi diceva, al muro? Non gli davano retta! Ah, no? Allora fece una pensata; aspettò il primo duello, che fu tra Arrigo Ventimiglia conte di Geraci e Pietro Cardona conte di Golisano, e confiscò tutti i loro beni: glieli tolse, hai capito?

— E chi se li prese?

— Tornavano al Re, — spiegò don Eugenio; — ma poi la faccenda s’accomodò: Ventimiglia se ne andò fuori Regno, e Cardona regalò al Vicerè il suo castello della Roccella, per ottener perdono....

A furia di simili pensate, il Vicerè venne però in uggia a tutto il mondo, tanto che il Parlamento mandò deputazioni in Spagna perchè il sovrano lo rimovesse dal posto: opera dei baroni invidiosi e birbanti — a giudizio della zitellona — ma, egli, più fino di loro, che fece? Offrì al re un dono di trentamila scudi, e così restò al suo posto; per poco, però. Era naturale che non lo potessero soffrire, giacchè nessun altro aveva tanta potenza, tanta ricchezza e tanta nobiltà. C’erano stati prima molti altri governatori della Sicilia che tenevano il luogo del Re, ma si chiamavano Presidenti del Regno, o Vicerè non proprietarii, e dovevano consultare