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I Vicerè 163

mettere il ragazzo in un nobile istituto sarebbe stato secondo le tradizioni della casa: tanto il collegio Cutelli quanto il noviziato Benedettino avevano visto molti di quegli antenati di cui ella leggeva e spiegava al nipotino la storia. Quando Consalvo era stanco di molestare le persone e le bestie, se ne veniva infatti dalla zitellona e le diceva:

— Zia, vediamo gli stemmi?

Gli stemmi erano l’opera del Mugnòs, illustrata con le armi delle famiglie di cui il testo ragionava; e donna Ferdinanda passava intere giornate leggendola e commentandola al nipotino.


Gli aveva già fatto un piccolo corso di grammatica araldica, spiegandogli che cosa volesse dire scudo partito e diviso, inquartato e soprattutto; mettendo il dito adunco sul rame che rappresentava quello di casa Uzeda glie ne faceva ogni volta la descrizione, perchè la mandasse a memoria:

— Inquartato, al primo e al quarto partito, d’oro all’aquila nera, linguata e armata di rosso, e fusato d’azzurro e d’argento; al secondo e al terzo diviso, d’azzurro alla cometa d’argento e di nero al capriolo d’oro; sopra il tutto d’oro con quattro pali rossi che è d’Aragona; lo scudo contornato da sei bandiere d’alleanza.

Poi gliene spiegava la formazione: la cometa voleva dire chiarezza di fama e di gloria; il capriolo rappresentava gli sproni del cavaliere. Lo stemma piccolo in mezzo al grande era quello dei Re aragonesi; gli Uzeda lo avevano ottenuto a poco a poco, non tutto in una volta: il primo palo al tempo di don Blasco II.

— «Seruendo egli» la zitellona leggeva nel suo testo, "all’inuitto Re don Giaime nella gverra ch’hebbe col conte Vguetto di Narbona e coi Mori nell’acquiſto di Majorica, non n’hebbe remvneratione uervna, perilche ritiratoſi dal Real ſeruiggio ſenne andò coi ſvoi al ſvo Stato, et iui uedendo che il Re mandaua vna groſſa