corte all’Intendente, a fine di prepararsi un paracadute nel caso di possibili rovesci; associossi al Gabinetto di lettura, covo dei liberali, senza lasciare il Casino dei Nobili, quartier generale dei puri, e insomma si destreggiò in modo da navigar tra due acque. Al primo scoppio della rivoluzione, la paura fu più forte: dichiarando ai suoi nuovi amici che il moto era impreparato, inopportuno, destinato immancabilmente a fallire, mentre la gente s’armava e si batteva, egli se la battè in campagna, e fece sapere ai capi del partito regio che aspettava la fine di quella «carnevalata». Però la «carnevalata» promise di durare; i soldati napoletani sgombrarono la Sicilia, e quantunque ne annunziassero ogni giorno il ritorno, non se n’ebbe più nè nuova nè vecchia, e il Governo provvisorio si venne ordinando. Il duca, visto che non ne andava la pelle, tornò in città, porse orecchio alle lusinghe del partito trionfante che, per averlo dalla sua, gli prometteva tutto quel che desiderava. Egli stette ancora a vedere, tirò in lungo, consigliò prudenza, allegò il bene del paese, le insidie, i possibili pericoli, dando così un colpo al cerchio e un altro alla botte. Corto di vista e presuntuoso per giunta, proprio mentre le cose stavano per volgere al peggio, egli giudicò di potersi ormai gettare in braccio ai liberali. Stava già per abbruciare i suoi vascelli e già assaporava i primi frutti del favor popolare, quando un bel giorno il principe di Satriano sbarcò a Messina con dodicimila uomini per rimettere le cose al posto di prima. Il duca si stimò perduto, e la nuova, più grande tremarella gli fe’ commettere uno sproposito di cui più tardi ebbe a pentirsi: mentre la città s’apparecchiava alla resistenza, egli firmò con altri borbonici fedeli e liberali traditori una carta in cui s’invocava la pronta restaurazione del potere legittimo. Ai primi d’aprile, le compagnie della milizia siciliana che presidiavano Taormina sgombrarono all’apparire dei regii e rientrarono a Catania; il 7 Satriano entrò in città dopo un sanguinoso combattimento. Tutti gli Uzeda erano scappati alla