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92 | Capitolo quattordicesimo |
— Sono orsi.
— Terremoto! Orsi! — esclamò il marinaio, balzando indietro.
— Hai paura?
— Se sono orsi, ho motivo di spaventarmi.
— Sono inoffensivi, Enrico. Quelli del Borneo e di tutte le isole Malesi, non sono feroci come gli altri. Come vedi, sono più piccoli di tutte le altre specie e quantunque abbiano denti e artigli, non se ne servono quasi mai e sfuggono l’uomo. Questa doppia cattura ci sarà di molto vantaggio, poichè alleveremo degli orsacchiotti che ci procureranno, di tratto in tratto, degli arrosti succolenti.
— E il miele? — chiese il mozzo. — Quel briccone di Sciancatello ce lo divorerà tutto.
— Ah!... furfante! — urlò il marinaio. — Mangia le mie ciambelle. Ehi, Sciancatello!... Scendi, o ti romperò il mio randello sul groppone, brutto ingordo! —
L’orang pareva fosse diventato sordo. Lo si udiva rompere i rami e scuotere le foglie, mentre le api fuggivano a sciami, ronzando. Il ghiottone stava senza dubbio saccheggiando l’alveare.
Il marinaio, furioso, temendo di non poter assaggiare il miele, nè di fare le sue ciambelle, cercava di scuotere l’albero per costringere l’orang a scendere, ma invano.
Il veneziano e il mozzo ridevano a crepapelle.
— Basta, goloso! — continuava a urlare il marinaio. — Scendi o ti mando a raggiungere tua madre con una freccia che ti farà crepare. Scendi, ladrone ingordo! —
Il mias continuava a rimanere sordo a quella tempesta d’invettive e di minaccie e il marinaio s’arrabbiava maggiormente, credendolo occupato a rimpinzarsi di miele.
— Addio, ciambelle, — diceva il mozzo, sempre ridendo. — Questa volta è lo Sciancatello che si mangia il dolce.
— Terremoto di Genova! — tuonò il marinaio. — Gli darò una lezione tale da fargli vomitare tutto il miele!... Gli fracasserò le ossa!...