Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
90 | Capitolo tredicesimo |
— Sono api selvatiche, e il nostro orang si prepara a saccheggiare l’alveare per mangiarsi il miele.
— Il goloso! — esclamò il marinaio. — Ma non gli permetterò di mangiarselo tutto. Diavolo!... Voglio fare delle ciambelle io!...
— Zitto, — disse il veneziano.
— Cosa avete udito?
— Un grugnito.
— Dove?...
— Lassù, tra le foglie.
— Che lo Sciancatello trovi un competitore?
— Lo credo, Enrico, perchè mi pare che quelle api siano molto spaventate.
— Forse un altro mias?...
— Non lo so.
— Brutto incontro, signor Albani.
— Abbiamo le frecce mortali.
— Sciancatello sale, — disse il mozzo. —
Infatti l’orang, dopo una breve esitazione, aveva cominciata l’ascensione, ma procedeva con una certa diffidenza e portava con sè il randello.
Di tratto in tratto si arrestava per ascoltare, alzava il viso come se cercasse di discernere qualche animale che pareva si nascondesse fra il fogliame, poi scuoteva la testa e riprendeva l’ascensione.
Giunto ai primi rami si rizzò, abbracciò il tronco dell’albero e radunando le sue forze, si mise a scrollarlo con furore, emettendo dei sordi abbaiamenti ma che sembravano colpi di tosse: era il suo modo di manifestare la sua collera.
In alto si udirono dei grugniti, poi si vide una massa nera scendere lungo il tronco.
— Una bestia! — urlò il mozzo.
Lo Sciancatello, vedendosi a tiro quell’animale, gli appioppò una legnata così tremenda, da strappargli un vero urlo, poi con un calcio cercò di precipitarlo giù, ma l’altro, che stringeva forte il tronco, teneva duro.