Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Il pane dei Robinson | 69 |
La costruzione di quei bacini non si fece però attendere. Cercarono un terreno roccioso, lo scavarono pazientemente rovinando i loro coltelli e servendosi di recipienti di bambù, vi versarono dentro l’acqua del mare. Quattro giorni dopo anche la questione del sale era risolta. Ne possedevano già alcuni chilogrammi e molti altri stavano per ricavarne, essendo la temperatura così calda da far evaporare rapidamente il liquido salmastro dei bacini.
— Ora che possediamo le armi, il pane e il sale, le cose più necessarie per l’esistenza, — disse il veneziano, — ci occuperemo a procurarci degli animali. Mi sembra che quest’isola abbondi di selvaggina e non ci sarà difficile tendere degli agguati in mezzo alla foresta.
— Ma come prepareremo le trappole? — chiese il marinaio.
— Scavando delle buche profonde due o tre metri e coprendole con un leggiero traliccio di bambù.
— Ma voi non avete pensato ad una cosa, signore.
— E a quale?
— Che non possediamo nè una zappa, nè un badile.
— Diamine, è vero, Enrico.
— Se dovessimo adoperare i nostri poveri coltelli e le mani, ci vorrebbero quindici giorni per scavare una tale buca.
— Hai ragione.
— Bisogna proprio creare tutto in quest’isola.
— Siamo, o meglio eravamo i più poveri Robinson.
— E, senza trappole, non si potrebbero uccidere egualmente gli animali?
— Sì, colle frecce, ma i capi grossi non cadrebbero certo con delle frecce così deboli, e poi, non bisogna distruggerli tutti, poichè l’isola può essere piccola e potremmo correre il pericolo di trovarci un brutto giorno, senza carne.
— Diavolo! — esclamò il marinaio, che si grattava furiosamente la testa.
— Io vorrei radunare parecchi animali, Enrico, e lasciarli