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66 | Capitolo decimo |
— Del pane ne avrete, ma sarà di qualità inferiore.
— Non importa, signore, — dissero il marinaio ed il mozzo.
— Seguitemi: ho veduto parecchie arenghe saccarifere che ci forniranno della farina e qualche cosa d’altro non meno importante. —
Ritornò sui propri passi, fece attraversare ai compagni parecchie macchie d’alberi grandissimi e s’arrestò dinanzi a un gruppo di piante d’aspetto maestoso, che rassomigliavano alle palme, col tronco grosso e liscio e colle foglie piumate che sostenevano dei grappoli di frutta rotonde.
— Ecco degli alberi preziosissimi, — disse il veneziano. — Sono forse i più utili di quanti crescono nell’Arcipelago della Sonda.
— Io non vedo che delle frutta, signore, — disse il marinaio. — È forse con quelle che si fa il pane?...
— No, quantunque anche quelle frutta sono mangiabili, privandole però accuratamente della corteccia, essendo velenosa.
Ascoltatemi e vi dirò quante cose noi possiamo ricavare da queste piante: nel tronco contengono della fecola nutritiva che le popolazioni povere delle isole mangiano sia sotto forma di pane, sia in minestra. Non è così delicata come quella dei sagu, ma non è nemmeno cattiva ed i nostri corpi vi si abitueranno facilmente.
— Buono! — esclamò il marinaio. — Faremo la zuppa.
— E i maccheroni, — disse il mozzo.
— Facendo delle incisioni sui tronchi, — continuò Albani, — si ottiene un succo molto dolce, chiaro, limpido, il quale, mediante l’evaporazione, si può trasformare in siroppo.
— Faremo le ciambelle! — esclamò Piccolo Tonno. — Come mi piacciono, signor Emilio!
— E delle caramelle come quelle che si mangiano in Piemonte, — disse il marinaio.
— Lasciando fermentare quel succo, che i malesi chia-