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64 | Capitolo decimo |
Capitolo X
Il pane dei Robinson
Il giorno seguente, armati delle loro cerbottane e di numerose frecce, raccolte in un turcasso ricavato da quei preziosissimi bambù, lasciavano la capanna per mettersi in cerca della farina, facendosi ormai sentire vivamente a tutti il desiderio di avere del pane o qualche sostanza che potesse surrogarlo.
La grande foresta non era lontana, sicchè in pochi minuti si trovarono sotto le vôlte di verzura.
Prima però di mettersi in cerca delle piante che aveva già scorte, il previdente veneziano voleva accertarsi se esisteva qualche sorgente d’acqua limpida, poichè le liane che fino allora li avevano dissetati cominciavano a diventare rade ed il piccolo fossato, dal cui fondo era stata presa la creta, erasi prontamente disseccato.
Le loro ricerche non furono però lunghe. In un angolo remoto della foresta scopersero un bacino d’acqua sorgiva, situato sulla cima di un rialzo di terra, ciò permetteva di farla scendere fino alla capanna adoperando dei canali di bambù.
Contentissimi per quella scoperta si misero in cerca delle piante che dovevano fornir loro della farina, piante che sono molto numerose e svariate, e che crescono senza coltura alcuna in tutte le isole del grande Arcipelago Indo-Malese.
Disgraziatamente pareva che in quell’isola mancasse la specie più pregiata, poichè il signor Albani non riusciva a scorgere nè i metroscilon sagus, nè i metroscilon rumphii che sono gli alberi sagu più produttivi ed anche i più comuni.
Guardava tutti gli alberi con attenzione, si cacciava in mezzo ai macchioni più folti, ritornava sui propri passi, ma invano. Saliva anche sui poggi e s’arrampicava sugli alberi più alti sperando di scorgere le foglie gigantesche di quelle preziose piante, ma nulla.