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Gli alberi del veleno | 59 |
— Viriamo di bordo, signore.
— Al contrario, Enrico. È la pianta che cercavo per fabbricare le nostre armi.
— Volete adoperare il veleno di quell’albero?
— Sì, e ti assicuro che è potente.
— Io ho udito parlare già di questi upas a Giava, signore, ed anche a Sumatra.
— Ti credo.
— Volete avvelenare delle frecce col succo di quella pianta?...
— Sì, Enrico.
— Ma come faremo a estrarlo?
— Come fanno i selvaggi del Borneo: ora lo vedrai. —
Il veneziano aveva recato con sè un pentolino ed una canna di bambù tagliata per metà e aguzzata ad una estremità. Afferrò la scure e fece ai piedi dell’albero una profonda incisione, cacciandovi dentro il cannello. Vi mise sotto il pentolino, poi si ritrasse sollecitamente sotto il bosco, invitando i compagni a seguirlo.
— Non è prudente respirare le esalazioni di quel succo velenoso, — disse. — Si corre il pericolo di perdere i denti e di contrarre dei dolori difficili a guarirsi. Attendiamo qui che il recipiente si riempia.
— Ma così potente è il veleno di quell’albero? — chiese il marinaio.
— Tanto potente, che come vedi, nessuna pianta può crescere sotto l’ombra di quel solitario e che gli uccelli che si posano inavvertitamente sui suoi rami, cadono fulminati. Se tu ti sdraiassi sotto quell’ombra, non tarderebbero a coglierti dei dolori e se tu non avessi un berretto, potresti perdere i tuoi capelli.
— E voi userete quel veleno?...
— So come si deve adoperarlo, avendo veduto parecchie volte i Kajan del Borneo a raccoglierlo e poi manipolarlo.
— Un uomo colpito da una freccia intinta nel succo dell’upas, muore?...