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58 | Capitolo nono |
Oltrepassata la piantagione dei bambù, Albani guidò i compagni in mezzo ad una fitta foresta, i cui tronchi erano così uniti, da rendere spesso il passaggio assai difficile.
I rami e le foglie di tutte quelle piante s’intrecciavano in una confusione indescrivibile, impedendo alla luce di giungere fino a terra, mentre migliaia e migliaia di rotang s’attorcigliavano attorno ai fusti o s’allungavano fra i cespugli o pendevano in forma di festoni o formavano delle vere reti, contro le cui maglie la scure talvolta si trovava impotente.
La flora indo-malese, così ricca, così svariata, pareva si fosse concentrata in quella foresta, che sembrava si estendesse su quasi tutta l’isola. Si vedevano là delle piante che avrebbero potuto fornire ai poveri naufraghi della Liguria, mille cose utilissime, ma il signor Albani pareva che pel momento non si occupasse di loro e non si arrestava dinanzi ad alcuna, nè rispondeva alle domande dei compagni, i quali, pur avendo poca conoscenza di quegli alberi, avevano scoperto dei manghi e dei cocchi carichi di frutta deliziose.
A un tratto però il veneziano si lasciò sfuggire un grido:
— Finalmente! —
Erano giunti sul margine d’una piccola radura, in mezzo alla quale si rizzava isolato un grande albero, alto più di trenta metri, col tronco dritto, snello, senza nodi fino a tre quarti d’altezza e coperto da un fogliame folto di colore verde-cupo.
Per un raggio di trenta e più metri intorno all’albero il terreno era spoglio d’ogni vegetale, e anche le piante che crescevano di là di quelle zone apparivano malaticce e colle foglie semi-ingiallite, come se si trovassero a disagio presso quel solitario.
— Non levatevi il berretto, — disse Albani.
— Per quale motivo, signore? — chiese il marinaio.
— Perchè le emanazioni di quest’albero non mancherebbero di procurarvi delle emicranie acute.
— Che specie d’albero è quello?
— Uno dei più velenosi che esistano: è il bahon-upas.