Pagina:I Robinson Italiani.djvu/63


Gli alberi del veleno 57

Capitolo IX


Gli alberi del veleno


Erano appena cessate le ultime strida degli uccelli notturni, quando i naufraghi abbandonarono la capanna, per mettersi alla ricerca dell’albero necessario per le armi che intendevano di procurarsi.

Le tenebre lottavano contro la luce che invadeva rapidamente lo spazio, tingendo il mare di splendidi riflessi madreperlacei e di scintillii d’argento che accennavano a diventare rapidamente d’oro.

Per l’aria volavano ancora pesantemente alcuni di quei grossi pipistrelli chiamati dai malesi kuleng e dai naturalisti pteropus edulis, bruttissimi, col corpo delle dimensioni d’un piccolo cane, colle ali così larghe che unite misurano un metro e perfino un metro e trenta centimetri. Ma già cominciavano ad alzarsi fra i rami degli alberi bande di pappagalli colle penne splendide; delle coppie di superbi chimancus albas, grossi come piccioni, col becco lungo e sottile, le penne nere, vellutate, a riflessi verdi fino a mezzo corpo e quelle posteriori più candide della neve e terminanti in due lunghe barbe arricciate; di epimachus speciosus, grossi come i falchi comuni, colle penne nere che parevano di seta, con certe sfumature indefinibili e con code lunghe un buon mezzo metro, sottilissime e con riflessi d’oro e stormi di graziosi cicinnurus regius, grandi come i nostri tordi, colle piume del dorso rosso-cupe con screziature d’argento, il collare verde-dorato, il petto bianco e con due grossi ciuffi di piume sotto la gola, rossicci e verdastri.

Tutti questi bellissimi volatili volteggiavano senza manifestare alcun timore, appressandosi talvolta ai naufraghi come se nulla avessero da paventare da parte di quegli uomini, il che indicava come non ne avessero prima mai veduti.