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La tigre | 43 |
Capitolo VII
La tigre
Pareva che quella prima notte, sulle sponde di quell’isola sconosciuta, dovesse trascorrere tranquilla, poichè nessun rumore veniva dalla parte dei boschi che si estendevano in direzione della montagna, la cui massa spiccava sul fondo stellato del cielo.
Non si udivano che i monotoni gorgoglii delle onde, le quali, spinte dall’alta marea, venivano ad infrangersi dolcemente contro le scogliere e sui bassifondi sabbiosi.
Il marinaio però, non del tutto rassicurato da quel silenzio, vegliava attentamente, non ignorando che nelle isole della regione chino-malese, numerosi e formidabili sono gli animali che abitano le selve e le jungle.
Riattizzava ad ogni istante il fuoco, il solo riparo che poteva difenderlo contro una aggressione, ben poco potendo contare sull’efficacia della scure; aguzzava gli sguardi fissandoli ora verso la piantagione di bambù ed ora verso i grandi alberi e tendeva gli orecchi con profonda attenzione.
Vegliava da due ore, quando udì, a non molta distanza, un grido rauco che rassomigliava a un miagolìo ma infinitamente più potente di quello che emettono i gatti.
Il marinaio s’alzò di scatto gettando all’intorno uno sguardo inquieto. Quella nota gutturale, breve, l’aveva udita ancora: era il grido della tigre.
— Mille terremoti!... — esclamò, impallidendo. — Ecco un vicino molto pericoloso, che starebbe bene a casa di messer Belzebù!... Se si avvicina, non so se la nostra scure ed i nostri coltelli potrebbero impedirgli di divorarci!... Avessimo almeno delle lancie!... To’!... E perchè no? La cosa mi sembra possibile! —
I suoi sguardi erano caduti sulla legna raccolta che doveva alimentare il fuoco, in mezzo alla quale aveva scorto