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32 Capitolo quinto

stanza cornea, che somigliava, nella forma, a quello dei pappagalli e due occhi grandi, piatti, dai glauchi colori.

S’avanzava penosamente, essendogli state recise tre braccia e cercava di approfittare delle onde che la risacca scagliava contro la caverna.

— Fuggite! — gridò il signor Emilio.

Sul fianco destro della caverna si prolungava una fila di scoglietti, gli uni collegati agli altri da banchi di sabbie che la bassa marea aveva lasciati scoperti, e che si univano ai piedi dell’altra sponda.

I naufraghi senza più esitare si slanciarono verso quegli scogli, cercando di giungere presso la riva e si arrestarono dinanzi a una rupe gigantesca che s’inalzava per due o trecento piedi.

Il calamaro gigante, fortunatamente, pareva che non pensasse a dare loro una seconda battaglia, ma a raggiungere il mare. Attese che una nuova onda giungesse presso la caverna, e quando la vide ritirarsi, si lasciò trascinare via.

Per qualche istante furono vedute le sue braccia agitarsi fra la spuma, poi l’intera massa scomparve sotto le acque.

— Buon viaggio! — gridò il marinaio, respirando liberamente. — Fulmini!... Come era brutto!... Non ne ho mai visto uno simile!...

— I cefalopodi sono piuttosto rari, — disse Albani.

— Si chiamano cefalopodi, quei mostri?...

— Sì, Enrico.

— Sono pericolosi?...

— Posseggono tale forza nelle loro braccia, da stritolare un uomo robustissimo. Aggiungi poi che le loro ventose dove si applicano succhiano il sangue, e se tu non fosti stato vestito, le avresti provate.

— Ma il furfante morrà, così mutilato.

— Non crederlo, amico mio. I cefalopodi hanno la vita dura e per ucciderli bisogna colpirli al cuore o meglio nei cuori, poichè ne hanno tre.

— Ma ha perduto tre braccia, signore.