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250 Capitolo trentacinquesimo

tela grossa e ruvida bensì, ma discreta e sopratutto robustissima.

La prima pezza fu regalata alla fidanzata del bravo genovese, la seconda a quella di Marino e la terza a quella del molucchese. Ormai la dote c’era e non mancava che il matrimonio.

Due mesi dopo, ultimati quei diversi ed importanti lavori, i due marinai e il molucchese, con grande gioia del vecchio capo, impalmavano le tre brave ragazze secondo il rito tagalo, rito molto spiccio e molto semplice, che richiede una tazza e un po’ di liquore di toddy che gli sposi devono bere in compagnia.

Le tre coppie felici andarono ad abitare in tre belle capanne costruite appositamente dietro la casa aerea, all’ombra d’un macchione di splendidi durion.

L’esistenza della colonia era ormai assicurata.


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Quattro anni dopo, cioè nel 1845, quando la squadra inglese dell’estremo Oriente, comandata dal contrammiraglio Campbel, approdò in quell’isola dopo una visita fatta al sultano delle Solù, trovò la colonia più fiorente che mai e già cresciuta di numero.

Gran parte dell’isola era stata dissodata ed i coloni nuotavano nell’abbondanza. Vasti magazzini si ergevano sulle coste settentrionali, i campi erano ricchi di tutte le produzioni più importanti dell’arcipelago della Sonda, i recinti pullulavano di scimmie, di babirussa, di orsi neri e di tapiri già addomesticati.

Fu solamente in quell’occasione che i coloni, aumentati di quattro ragazzini e di tre ragazzine, appresero che la loro isola era la più meridionale dell’arcipelago delle Solù e distava solo ottanta miglia da Tawi-Tawi.

Quei coloni erano così felici, che rifiutarono di abbandonare la loro terra. Si limitarono ad accettare parecchi oggetti indispensabili, sopratutto armi da fuoco e munizioni