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248 | Capitolo trentacinquesimo |
Capitolo XXXV
La famiglia dei Robinson
Quattro ore dopo il maltese e i naufraghi della giunca, che avevano marciato con grande rapidità, giungevano nella possessione dei Robinson italiani, dove gli aspettavano un pranzo poco meno che luculliano.
Rinunciamo a descrivere il loro stupore, la loro meraviglia, nel trovare su quell’estrema punta di quell’isola deserta e selvaggia una tavola così riccamente imbandita, una casa così comoda, quel campo coltivato con cura estrema, quel recinto già popolato di parecchi animali e di numerosi volatili, e quei magazzini riboccanti di viveri.
E rinunciamo pure a descrivere le congratulazioni fatte a quegli operosi Robinson che approdati con quasi nulla, mercè la loro attività, la loro costanza, avevano saputo procurarsi più di quanto sarebbe stato necessario alla loro esistenza. Potevano ben dire che quella microscopica colonia, nel suo piccolo, era in caso di gareggiare colle secolari e più fiorenti colonie delle isole dell’arcipelago della Sonda.
Il maltese sopratutto era il più stupito, memore delle miserie e dei lunghi digiuni sofferti sulle coste meridionali di quella istessa isola, che a lui e al suo compagno era sembrata inabitabile.
L’indomani la piccola colonia, sotto la direzione del valente ed infaticabile veneziano, si metteva animosamente al lavoro. I tagali, il molucchese e il maltese non chiedevano altro che di essere utili ai Robinson italiani per non essere, in alcun modo, di peso.
In quindici giorni altre tre belle capanne sorsero su quella sponda, formando un villaggio piccolo sì ma graziosissimo, poi sorsero nuovi recinti, altre uccelliere, altri vivai.
Un mese dopo il campicello aveva una estensione dieci