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I tagali 247

— La capanna!... Eccola lassù che sporge dietro quel gruppo d’alberi!... Urràh!... —

Il veneziano guardò verso la costa la quale piegava bruscamente verso l’ovest. Dietro ad un macchione di piccoli durion, si vedeva sorgere il tetto della capanna aerea.

Una viva emozione si dipinse sul viso di Enrico e del veneziano.

— Urràh!... urràh!... — urlò il marinaio, con quanta voce aveva in gola.

Poco dopo videro Sciancatello correre sulla cima delle rocce seguìto dalle due scimmie. L’affezionato orang-outan spiccava salti di gioia e dondolava comicamente la testa e le braccia.

La Roma, oltrepassata una scogliera, entrava nella piccola cala attigua ai vivai. I tre Robinson l’arenarono, tirandola in secco sulla sabbia.

Enrico, che era in preda a una viva emozione, si prese Sciancatello fra le braccia e per poco non depose due baci su quelle gote pelose.

— Andiamo a vedere se l’uragano ha causato dei guasti, — disse Albani. — Sono inquieto pei nostri animali. —

Il ventaccio, malgrado la sua violenza, non aveva atterrate nè le tettoie, nè le cinte. Nemmeno la casa aerea, quantunque fosse così esposta, aveva sofferto.

— Affrettiamoci a preparare il pranzo pei nostri nuovi amici, — disse Albani. — Fra un paio d’ore saranno qui.

— Corro al vivaio a prendere una testuggine e dei pesci, — disse Enrico.

— Ed io vado a spillare del toddy e del vino bianco, — disse Piccolo Tonno.

— Io invece andrò a torcere il collo a un paio di tucani, — concluse Albani. — Prepareremo ai nostri compagni un vero pranzo e mostreremo loro come delle persone laboriose possano trovare mille risorse anche su quest’isola deserta. —