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Il naufragio della giunca 239

Un urlo immenso s’alzò sul mare, seguìto da un ultimo sparo e da uno scroscio terribile.

— A terra! — gridò il signor Albani, agitando un tizzone acceso e avvicinandosi alle scogliere.

Un lampo illuminò la notte.

La giunca ormai aveva investita la scogliera e si era rovesciata sul tribordo, sventrandosi contro le punte aguzze dei coralli. Al baleno di quel lampo i Robinson avevano scorto parecchie persone correre disordinatamente sul ponte inclinato della nave, in mezzo alle onde che montavano a bordo schiumeggiando e muggendo.

Il signor Albani, i due marinai e il mozzo, muniti di tizzoni fiammeggianti erano balzati nella scialuppa la quale, trovandosi entro quella specie di canale riparato dalle scogliere, poteva prendere il largo senza correre il pericolo di venire subissata.

Puntando i remi sui bassifondi, in pochi istanti attraversarono il canale e si trovarono dietro le rocce, ma proprio in quel momento si udì uno schianto più formidabile di prima e alla luce dei tizzoni i Robinson videro la povera nave aprirsi a metà, quindi sfasciarsi da prua a poppa sotto l’impeto irresistibile ed incalzante delle ondate.

— Fulmini! — esclamò Enrico, impallidendo.

— Sono stati inghiottiti! — urlarono il maltese ed il mozzo.

— No, — disse Albani. — Odo delle grida! —

Infatti fra i muggiti dei marosi si udivano echeggiare delle grida. Pareva che alcuni uomini fossero riusciti ad aggrapparsi alla scogliera.

— Coraggio! — gridò il veneziano. — Veniamo in vostro aiuto. —

S’aggrappò alle sporgenze della scogliera e si issò seguito da Enrico, mentre il maltese e Piccolo Tonno tenevano ferma la scialuppa.

Le onde balzavano sopra le rupi e le attraversavano, scendendo dall’opposta parte come cateratte furiose, ma i due