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234 Capitolo trentaduesimo

linea dei frangenti, ritornavano al largo tumultuosamente, provocando delle contro-ondate pericolosissime.

Il signor Albani si era alzato in piedi per meglio vedere dove si nascondevano gli scoglietti, segnalati isolatamente da uno spumeggiare incessante e da colonne d’acqua rimbalzanti.

La scialuppa, affogata sotto gli assalti di quelle masse liquide, pareva che ad ogni istante dovesse scomparire, ma si rialzava sempre.

A mezzodì girò un’alta scogliera che si estendeva dinanzi alla costa e si cacciò in una specie di canale formato da rupi tagliate a picco; un fiord profondo, che era riparato dal vento e dalle onde.

— Finalmente! — esclamò Enrico.

Ammainarono la vela e legarono la scialuppa a un enorme macigno mentre cadeva una pioggia diluviale.

— Cerchiamo un ricovero, — disse Albani, salendo la costa. — Non possiamo, con questo tempaccio e così stanchi, recarci fino alla capanna.

— Ma i nostri magazzini non devono essere lontani, — disse Enrico.

— Due miglia, — rispose Piccolo Tonno.

— Sotto questo diluvio sono troppe.

— Ci devono essere delle caverne, — disse Albani. — Tutte queste rocce sono più o meno traforate.

— Cerchiamone una, signore. Io cado dal sonno e non mi reggo più, — disse Marino.

Stavano per volgere le spalle al mare e cacciarsi fra le alte rupi della costa, quando il maltese chiese:

— E la giunca?

— Si vede ancora? — chiese Albani, fermandosi.

Il maltese guardò verso l’est, ma più nulla si vedeva sull’orizzonte. Certamente la pioggia impediva di scorgerla o l’equipaggio aveva abbandonato l’idea di poggiare verso l’isola e aveva ripresa la rotta verso il nord.

— È scomparsa, — disse Marino.