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228 Capitolo trentaduesimo

Ormai non vi era più dubbio: Piccolo Tonno corrispondeva ai loro segnali.

— Io sono certo che quel bravo ragazzo si è immaginato che siamo noi ad accendere questi fuochi, — disse Enrico.

— Lo credo anch’io, — disse Albani.

— Allora domani verrà in nostro soccorso.

— Ma in qual modo, se il canotto non esiste più? — chiese Marino.

— Costruirà una zattera, — rispose Albani. — Il ragazzo è intelligente e non indietreggerà dinanzi ad alcuna difficoltà.

— Bisogna continuare i segnali, — disse Enrico. — Andiamo a raccogliere dell’altra legna, Marino. —

I due marinai scesero nei burroncelli in cerca di altri cespugli, mentre Albani rimaneva in vedetta sulla cima del cono.

Era già trascorso un quarto d’ora, quando vide un quarto punto luminoso apparire quasi di fronte allo scoglio, ma assai basso, quasi a fior d’acqua. Ben presto però quel punto si dilatò, ingigantì, e una colonna di fumo, a riflessi rossastri, si alzò dall’isola, sormontata da fasci di scintille. Pareva che laggiù ardesse un lembo della grande foresta.

— Piccolo Tonno ci avvisa che ormai sa che noi ci troviamo qui, — disse Albani ai due marinai che salivano il cono carichi di rami e di piante rampicanti. — Non ci possiamo ingannare.

— Ma come abbia fatto a saperlo così presto? — chiese Enrico. — Che qualcuno dei nostri oggetti sia stato spinto verso le sponde dell’isola?...

— Forse, — rispose Albani. — Qualche remo, o le cerbottane, o l’albero che può essersi staccato dalla scialuppa.

— To’! Un altro gruppo d’alberi che brucia un po’ più a sud. Il piccino minaccia di distruggere tutte le nostre foreste.

— Non sarà così imprudente, Enrico. Alimentate i falò che stanno per spegnersi. —

Nuovi rami furono gettati sui tizzoni ardenti, ravvivando