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226 Capitolo trentunesimo

Le isole così formate non sono rare. Quasi tutte le Azzorre sono di origine vulcanica e anche non molti anni or sono, nel 1812 se non erro, una ne sorse improvvisamente presso le coste della nostra Sicilia, ma i flutti più tardi la distrussero.

— Quei sollevamenti producono dei terremoti?

— Sono anzi dovuti ai terremoti.

— Ma come si sarà poi spento questo vulcano?

— Forse per la brusca invasione delle acque del mare.

— Deve essere scoppiato come una bomba.

— Di certo, Enrico. Forse era molto più alto, ma scoppiando si sarà mozzato, riempiendo poi il cratere di rottami.

— Vi sono stati altri vulcani che sono scoppiati, signor Albani?

— Parecchi, ma non sempre a causa dell’irrompere delle acque e non sempre si sono poi spenti. Anche il nostro Etna è scoppiato, formando la così detta Valle del Bove, e così pure il nostro Vesuvio nel 79 subissando Ercolano, Pompei e Stabia sotto una pioggia di cenere e di lapilli. Quando nell’America centrale scoppiò il Coseguina, coperse le campagne circostanti d’uno strato di cenere alto cinque metri, per una superficie di quarantanove chilometri, e la detonazione fu udita a millecinquecentosessanta chilometri di distanza.

— Fulmini!... Che rombo!...

— Quando invece nel 1698 scoppiò il Timboro nell’isola di Sumbava, causò la caduta di una tale massa di rottami eguale a tre volte la mole del Monte Bianco, si estese su una superficie eguale a quella dell’Italia e di mezza Francia, mentre le pomici galleggiavano sul mare per uno spessore d’un metro.

— Lampi e terremoti! Ringraziamo questo vulcanello che ha avuto il buon senso di scoppiare cinquanta o cent’anni fa. Da simili mostri è meglio tenersi lontani, signore. —