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220 | Capitolo trentunesimo |
Lasciarono la cima e girando attorno alla base di quel cono vulcanico, riuscirono a scoprire una profonda cavità sufficiente a ripararli dai raggi del sole, che erano cocentissimi, essendosi ormai il cielo sgombrato in gran parte dai vapori che lo coprivano.
Il signor Albani e Marino si spogliarono delle loro vesti per metterle ad asciugare, ma Enrico continuò ad esplorare l’isolotto colla speranza di trovare arenata la scialuppa o di scoprire, in fondo a qualche burroncello, degli alberi che potessero fornire una zattera.
Le sue ricerche però furono vane; non vi erano che cespugli e anche questi erano poco numerosi e non in grado di fornire un galleggiante qualunque. Visitando però la spiaggia sabbiosa, egli fece un’ampia raccolta di datteri di mare, di conchiglie di varie specie, e trovò anche alcune di quelle deliziose ostriche chiamate di Singapore, pesanti qualche chilogramma. Vide anche numerose tracce di testuggini, ma non riuscì a scoprirne alcuna, quantunque fosse certo che ve ne fossero nascoste in mezzo alle scogliere.
Si provò a frugare qua e là la sabbia, non ignorando che quei rettili hanno l’abitudine di seppellire le loro uova, ma senza frutto, essendo abilissime nel far sparire le più piccole tracce.
Ritornando trovò anche un serbatoio d’acqua di capacità considerevole, racchiuso fra due rocce profondamente incavate. Quella scoperta lo rallegrò assai, poichè non vi era almeno il pericolo di morire di sete, nel caso che la loro prigionia si prolungasse.
Durante la giornata il mare continuò a mantenersi agitatissimo, impedendo ai naufraghi di poter accertarsi fin dove si estendeva la linea dei frangenti e dove si ergevano i banchi che avevano impedito il passaggio alla scialuppa. Solamente verso sera le onde cominciarono ad abbassarsi e a percuotere con meno violenza la base dello scoglio.
Quando le tenebre calarono, i naufraghi riguadagnarono